Inoltre, nel Conto annuale 2015 il valore complessivo di tale voce risulta di ben € 1.452.410.823 (quasi un miliardo e mezzo), pari al 5,5 % dell’intero montesalari. La RIA è stata sempre ritenuta un patrimonio dei dipendenti consolidato nella massa salariale tanto è vero che specifiche clausole contrattuali prevedevano che la RIA del personale cessato dal rapporto di lavoro confluisse nel fondo per la posizione (per i medici, art. 9, CCNL del’8.6.2000 – II biennio economico). Per la verità il Ministero del Tesoro è sempre stato contrario a tale operazione ma per venti anni ciò è regolarmente avvenuto quantomeno fino al 2010 quando il decreto Tremonti ha congelato l’importo complessivo dei fondi, sterilizzando, a concorrenza, anche la valorizzazione della RIA. Ecco, dunque, spiegata l’importanza vitale della questione nell’ambito complessivo del rinnovo contrattuale dei medici. E veniamo alle criticità anticipate sopra. Sostanzialmente si tratta di un esproprio di risorse in quanto – anche se non è difficile verificare che gli importi delle RIA dei prossimi anni saranno molto maggiori degli importi stanziati dalla legge – quello che è già evidente è che per tutto il 2018 non ci sarà alcuna risorsa che incrementi il fondo e che dal 2019 saranno disponibili 18 (diciotto !) € mensili lordi per ogni dirigente. L’altro aspetto è più complesso in quanto il comma 435 ha, come detto, l’intento di “attenuare gli effetti finanziari correlati alla disposizione di cui all’articolo 23, comma 2 …”, cioè la sterilizzazione della RIA. E negli atti parlamentari si legge a commento della norma che il citato art. 23, comma 2 “a decorrere dal 1° gennaio 2017 fissa come limite massimo per l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente ….. il corrispondente importo determinato per l’anno 2016”. Il congelamento al valore 2016 è certamente vero ma lo stesso comma 2 inizia dicendo: “nelle more di quanto previsto dal comma 1” il quale, a sua volta, rinvia la partita delle risorse destinate all’incremento dei fondi alla imminente contrattazione collettiva. Pertanto, dalla lettura coordinata dei due commi si dovrebbe dedurre che il congelamento vale per il solo 2017 e nulla impedisce al prossimo contratto di tornare sugli incrementi che, ad ogni buon conto, non sono soltanto quelli derivanti dalla RIA dei cessati ma riguardano anche, ad esempio, gli incrementi derivanti dall’aumento della dotazione organica o della qualità dei servizi, le prestazioni a pagamento ex lege 449/1997, le risorse aggiuntive regionali, le risorse finalizzate provenienti dall’Unione europea o da privati, il cosiddetto dividendo dell’efficienza. Si deve allora concludere che anche tutte queste risorse devono ritenersi perse ? Quest’ultima ipotesi è del tutto irreale non solo in termini politico-sindacali ma anche in punta di diritto in quanto lo stesso decreto 75 del 2017 all’art. 11, novellando l’art. 40 del d.lgs. 165/2001, stabilisce che agli obiettivi di performance organizzativa e individuale deve essere destinata”una quota prevalente delle risorse finalizzate ai trattamenti economici accessori comunque denominati”. Come potrebbe mai essere attuata tale disposizione se i fondi contrattuali dovessero restare congelati ? Se le intenzioni del legislatore sono state davvero quelle di eliminare per sempre ogni recupero della RIA, allora si tratta effettivamente di un esproprio e la previsione di un importo forfettario – non previsto in ogni caso nel 2018 – appare certamente una soluzione a perdere. E qui si pone la seconda problematica. Il comma 435 della legge di bilancio destina gli incrementi ai “Fondi contrattuali per il trattamento economico accessorio della dirigenza medica, sanitaria e veterinaria” in modo indistinto. Orbene, ad oggi i fondi in questione sono formalmente e decisamente separati: quello della dirigenza medica e veterinaria da una parte e quello della dirigenza sanitaria – cioè biologi, chimici, fisici, farmacisti e psicologi – dall’altra, fondo peraltro ancora unico con la dirigenza professionale, tecnica e amministrativa.In conclusione, comunque la si giri, la norma della legge di bilancio non regge.