Ospedali appena ristrutturati che in Piemonte e Lombardia sono stati appena soppressi; altri, in Puglia, da riconvertire quando la struttura appena più grande a fianco non ha le sale operatorie a norma; altri ancora –Subiaco – da azzerare quando il servizio più vicino, a Tivoli, dista un’ora e mezza di viaggio dalle valli più interne. Sono i danni generati dalla soppressione dei 175 ospedali con meno di 120 letti prevista nel Patto per la Salute tra stato e regioni e ora in corso. Valerio Fabio Alberti, presidente della Fiaso, la Federazione delle aziende sanitarie, replica: «La chiusura dei piccoli ospedali è un’operazione in linea di massima corretta, ma il rischio di un’applicazione “aritmetica” c’è». Alberti vede due problemi. «Primo, in questo paese dai processi decisionali lunghi accade si realizzino 25 anni dopo strutture programmate quando la popolazione aveva esigenze diverse e che ora risultano obsolete, ancorché nuove di zecca. In secondo luogo, le decisioni sui piccoli ospedali sono figlie di decisioni prese in chiave intraregionale, di accorpare intere catene di ospedali, dal più piccolo al più grande, in una logica di rete o gerarchica in questa logica entra in gioco la dismissione o riconversione di servizi che a livello locale appaiono ancora efficienti. Ma se si riconverte un ospedale generale in uno di comunità vicino alle esigenze del territorio, dismissione dei servizi precedenti e avvio dei nuovi devono essere allineati, contestuali e graduali. La programmazione ospedaliera non può avvenire senza quella per il territorio. E se le decisioni sul cosa fare sono figlie di una programmazione regionale, quelle sul come agire e come informare la popolazione e interrelarsi con i medici, toccano al direttore generale».